Immunoterapia e terapia target: il nuovo standard terapeutico anche per i pazienti con melanoma ad alto rischio radicalmente operato

chemistry I pazienti con melanoma in stadio III (con coinvolgimento linfonodale o metastasi in transit) radicalmente operato sono gravati da un rischio di recidiva di malattia elevato. In particolare, la malattia in stadio IIID è caratterizzata dal maggior rischio, con una probabilità di sopravvivenza a 5 anni che si aggira intorno al 32%. Negli ultimi 20 anni, l’interferone è rimasta l’unica opzione terapeutica valida, pur essendo gravato da elevata tossicità (in particolar modo nella schedula ad alte dosi) e da una bassa riduzione del rischio di recidiva.

La recente approvazione di rimborsabilità da parte di AIFA dei farmaci anti PD1 pembrolizumab e nivolumab e della combinazione target dabrafenib e trametinib ha radicalmente cambiato tale scenario terapeutico, migliorando sensibilmente la probabilità di guarigione dei pazienti ad alto rischio di recidiva.

Immunoterapia e terapia target: la nuova era
I grandi successi terapeutici ottenuti negli ultimi anni nel setting metastatico, hanno portato alla sperimentazione anche nel setting adiuvante dei farmaci immunoterapici e della terapia target. Pembrolizumab e nivolumab sono due farmaci che esplicano il loro meccanismo d’azione mediante l’inibizione del recettore linfocitario PD-1 potenziando la risposta immunitaria contro le cellule neoplastiche residue. In particolare pembrolizumab, registrato ad una dose di 200 mg e.v. ogni 3 settimane o di 400 mg e.v ogni 6 settimane per 1 anno in pazienti con malattia in stadio III, ha dimostrato una riduzione del rischio relativo del 43% con una relapse free survival (RFS) ad un anno del 75.4% (contro il 61% dei pazienti non trattati) così come dimostrato dai risultati dello studio Keynote 054. Analogamente nivolumab, registrato alla dose di 240 mg e.v. ogni 2 settimane o 480 mg e.v. ogni 4 settimane per 1 anno in pazienti con malattia in stadio III o IV radicalmente operati, ha evidenziato nello studio registrativo Checkmate 238 una RFS a 36 mesi del 58% con una riduzione del rischio relativo di recidiva del 32%. Entrambi i farmaci si sono dimostrati sicuri e con un profilo di tossicità maneggevole.
La combinazione target dabrafenib trametinib esplica il suo meccanismo d’azione mediante l’inibizione della via delle MAP-Kinasi (costitutivamente attivata nel melanoma con mutazione di BRAF V600). In particolare dabrafenib inibisce l’attività della proteina tumorale BRAF mentre il trametinib quella della proteina MEK. Tale combinazione orale, registrata alla dose standard di 150 mg due volte al giorno per il dabrafenib e 2 mg/die per il trametinib (per la durata complessiva di un anno), ha dimostrato una RFS del 54% a 4 anni con una riduzione del rischio di recidiva del 51%. Anche in questo caso il trattamento è risultato sicuro e con tossicità sostanzialmente maneggevoli.

Quale migliore trattamento adiuvante per il paziente BRAF mutato?
Mentre nel paziente BRAF non mutato (wild type) la scelta terapeutica è limitata ai soli immunoterapici pembrolizumab e nivolumab (quest’ultimo approvato anche nei pazienti con malattia metastatica radicalmente operata), nel sottogruppo di pazienti con mutazione V600 del gene BRAF è possibile prendere in considerazione anche il trattamento target. Le evidenze scientifiche ad oggi disponibili non ci permettono un confronto diretto tra le 2 classi di farmaci, pertanto la scelta di un trattamento piuttosto che un altro dovrà tenere conto soprattutto delle caratteristiche biologiche della malattia, delle caratteristiche del paziente, delle sue comorbidità e – non per ultimo – delle sue preferenze.